RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI SULLA TORÀ

VI

TOLEDOTH

(Genesi XXV, 19 - XXVIII, 9)

GIACOBBE E LA LOTTA PER IL PRIMATO MORALE

  

La Parashà di Toledot ci introduce nell'ambiente della seconda famiglia ebraica; quella di Isacco e di Rebecca. Si può dire che fin dal principio della Parashà, le figure di Isacco e di Rebecca sono quasi costantemente accompagnate, nel racconto, da quelle dei due figli gemelli, Esaù e Giacobbe che così diversi nell'indole e nel carattere, rappresentano più che un dissidio fra due individui, l'antagonismo di due mondi, di due orientamenti della vita. Esaù amante della caccia e della vita avventurosa è il simbolo della vita materiale che si contrappone alla vita ideale di cui è esponente Giacobbe, l'uomo pio e mansueto, dedito al raccoglimento e allo studio, nella serena tranquillità della casa. Ora la Bibbia ci dimostra come la diversità di temperamento e di tendenza nei due figli, abbia come un riflesso nell'affetto dei genitori e nella loro predilezione per uno o l'altro di essi.

Isacco ama e predilige Esaù, Rebecca ama e predilige Giacobbe. E con questo, forse, è già detto tutto, è già anticipato tutto quello che poi deve accadere; si tratta in sostanza, di una di quelle umane debolezze, tanto frequenti nella vita delle famiglie, e che sono spesso causa di complicate vicende o di piccoli e grandi dispiaceri. Anche qui, tutto il piccolo dramma familiare che si svolge dinanzi alla nostra fantasia, è un po' frutto di questa debolezza sentimentale dei genitori per l'uno o l'altro dei due figli. Ben dovevano conoscere i coniugi le attitudini, le disposizioni, le possibilità di coloro che essi avevano generato e allevato; doveva pur essere chiaro che Esaù era uomo troppo dedito alla vita avventurosa e selvaggia per poter essere designato a guida spirituale della discendenza abramitica, mentre a tale rango doveva sembrare naturalmente destinato il mite e solitario Giacobbe. Ciò sembrava evidente, ma invece accadde qui quello che accade spesso nel mondo degli uomini: ci si lascia facilmente fuorviare dalle predilezioni e dalle passioni, e la Bibbia che riproduce gli uomini come sono ce li descrive coi loro pregi e i loro difetti, non nasconde la debolezza di Isacco che si lascia trascinare dall'apparenza ingannatrice di Esaù e neppure ignora la eccessiva tenerezza di Rebecca che accecata dall'affetto filiale non esita a suggerire e a porre in opera quei piccoli inganni che una assoluta legge morale non può che riprovare. Ma - ripeto - la Bibbia ci vuol portare in mezzo alle vicende umane e familiari così come esse sono e non come noi vorremmo che fossero; essa ci vuole mostrare le virtù e le colpe degli uomini e le sanzioni ad esse relative, affinché noi dagli stessi avvenimenti e dagli stessi racconti, possiamo dedurre altrettanti insegnamenti e altrettante norme morali.

Tutto il perno della contesa fra Esaù e Giacobbe si aggira attorno alla questione della primogenitura e alla benedizione paterna che ne consegue. Il primogenito che nell'antica società ebraica, era destinato a diventare, dopo la morte del padre, il capo spirituale e sacerdote della famiglia, riceveva, dal padre benedicente, l'investitura della sua missione.

Qui, nel caso di Esaù e Giacobbe, era Esaù quello che, uscito per primo alla luce della vita, sembrava essere designato al rango di primogenito; ma ne era egli degno? poteva il retaggio della missione abramitica essere affidato alle sue mani? O non aveva egli disprezzato e persino fatto mercimonio di quella primogenitura che doveva essere il suo bene più prezioso e il suo ideale più caro? Così era; ma il padre Isacco era stato ingannato dalle astute apparenze del figlio: o fosse la predilezione e il gusto che egli aveva per la cacciagione che il figlio gli procurava, o forse, come acutamente osservava il Midrash, perché l'astuto giovane "cacciava", con le sue arti e i suoi raggiri, l'ingenua mentalità del padre, fatto sta che questi si preparava a impartire al figlio Esaù quella benedizione che doveva dargli una posizione spirituale superiore al fratello. Ma ciò non poteva, né doveva avvenire, non solo per una legge di naturale equità, ma anche perché Esaù aveva ormai dichiarato di rinunciare a quella primogenitura che, come dimostra l'episodio della vendita di essa al fratello, era ai suoi occhi strumento di interessi e non simbolo di vita ideale. Ecco perché si attua il disegno di Dio, sia pure attraverso l'intreccio delle azioni degli uomini, ecco perché Giacobbe viene riconfermato in quel grado di preminenza al quale la volontà di Dio, prima che quella degli uomini, lo aveva destinato. Era infatti ancora nascosto nell'alvo materno, quando la voce dell'oracolo aveva predetto alla madre che dei due figli che essa nutriva nel suo seno, il minore, un giorno, avrebbe prevalso sul maggiore: "veràv ja'avod tsaìr", ora, per altra via, questa volontà si attuava.

La competizione fra Esaù e Giacobbe che è la competizione per un primato morale nel mondo, è la lotta di due principi: quello della vita materiale, della potenza e della prepotenza da un lato, quello della vita ideale, dell'amore e della giustizia dall'altro. Questi due principi sono in lotta e il primato è conteso; sembra talora che gli uomini si lascino trascinare a far prevalere il mondo di Esaù su quello di Giacobbe; sembra talora che a Esaù spetti il dominio e la supremazia, perché le mani, cioè la potenza materiale, sono le mani di Esaù, mentre solo la voce, la voce della parola e dello spirito è di Giacobbe (Gen. XXVII, 22). E così la contesa fra i due figli dell'antico patriarca si rinnova in mezzo alle vicende degli uomini, in ogni età del mondo. Ma se l'apparenza o l'inganno o la debolezza umana, fanno assurgere talora, chi è indegno alla primogenitura o alla direzione della vita spirituale, grandi e provvidenziali sono le vie di Dio che riporteranno il giusto meritevole ad essere il vero primogenito. Così anche Israele che è escluso o allontanato nel mondo, dalla direzione della vita spirituale, tornerà a ricevere un giorno, anche dagli uomini quell'investitura che già ebbe dal Padre Celeste, tornerà, cioè, a quel primato morale che a lui era stato rilasciato; in quel giorno "saliranno i vincitori sul monte di Sion per giudicare e dominare il monte di Esaù, e la vittoria sarà di Dio" (Ovadià' I, 21).