RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI SULLA TORÀ


X

MIKKÈZ

(Genesi XLI - XLIV, 17)

GIUSEPPE PERSONAGGIO TIPICO DELLA STORIA EBRAICA


La storia di Giuseppe iniziatasi con la Parashà precedente, continua in questa. Noi abbiamo già dato uno sguardo d'insieme a questa storia che non è la storia di un uomo, ma in scorcio, quella della famiglia israelitica, cui egli appartiene: noi abbiamo già fatto le nostre considerazioni analizzando il carattere dei vari personaggi e delle loro azioni, lumeggiando il significato di queste azioni e delle conseguenze che esse comportano in una visione più ampia del racconto biblico. Avviciniamoci ora al personaggio principale, consideriamo un po' da vicino il carattere, la natura di questo biblico Giuseppe che nonostante la lontananza dei millenni, sentiamo così vivo e reale. C'è qualcosa in questa figura che ne fa un tipo diverso dalle solite figure dei patriarchi ebrei, c'è qualcosa che differenzia profondamente Giuseppe dai suoi avi e dai suoi fratelli e lo colloca su un piano di vita che è molto vicino al nostro. È una considerazione che ognuno di noi può fare: quando leggiamo la Bibbia e pensiamo ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe, noi ci rappresentiamo, sì, queste figure, ma le inquadriamo, necessariamente in un ambiente, in un sistema di vita che è diverso e lontano, molto diverso e molto lontano dal nostro. Quando pensiamo a Giuseppe non è più così: Giuseppe è un personaggio più vivo, direi più moderno sia pure attraverso le drammatiche vicende della sua esistenza o forse proprio a causa di queste vicende.

Dicemmo nella precedente lezione che la sua storia si potrebbe definire un romanzo, ma anche tutta la storia di Israele è un grande romanzo, che in molti particolari ha dell'inverosimile; ora è questa analogia tra la vita piena e varia di questo antico ebreo e quella non meno varia del popolo cui appartiene, che ci rende Giuseppe così attraente, così vicino alla nostra anima ebraica. Sì, si potrebbe dire: Giuseppe è il primo ebreo moderno, il primo ebreo che conosce il distacco, l'allontanamento dalla casa e dalla patria, che soffre per l'odio e l'inimicizia altrui, per l'ingratitudine del mondo; il primo ebreo che conosce la miseria e la prigionia, ma che come infinite volte è accaduto nella storia ebraica conosce altresì gli improvvisi e repentini mutamenti della sorte, il primo ebreo che grazie alla sua saggezza e alla sua dirittura ascende ai più alti gradini della scala sociale. Dopo Giuseppe, quanti ministri, quanti consiglieri ebrei hanno messo la loro intelligenza, la loro sapienza, la loro diplomazia al servizio di importanti governi! È proprio così! Giuseppe esperimenta per primo quale sia l'intervento di Dio nella sua storia; come più tardi Israele esperimenterà questo stesso intervento nella sua più vasta storia; quante cadute, infatti, e quante ascese, quanti insospettati pericoli, ma quante insperate salvezze! Ma c'è di più, in questo primo tipo di ebreo che viene a contatto col mondo, che conosce altri ambienti, altre civiltà, c'è di più, perché c'è qui oltre la storia esterna, oltre gli avvicendamenti del mondo esteriore, c'è qui il fatto della coscienza interna. Qui in Giuseppe c'è integra e pura la coscienza ebraica!

Un uomo che attraverso tutte le vicissitudini, tutte le amarezze, tutte le disillusioni, si mantiene sempre fedele a stesso; un giovane che anche nel fondo della prigione si sente nella schiavitù, libero di sé, cosciente della sua origine, un uomo che ricorda sempre il suo Dio e Iddio dei suoi padri, che Lo sente vicino nella prigione e a Lui si appella perché lo illumini nella interpretazione di un sogno, un uomo che quando avrà salito i gradini di un trono manterrà anche dinanzi a un grande monarca lo stesso atteggiamento fermo e dignitoso e si richiamerà ancora alla protezione di quel Dio che aveva invocato nella prigione e nelle più oscure ore della sua vita, un uomo sì fatto è un uomo di coscienza integra e di fede intemerata. Giuseppe è il primo ebreo che si è sentito libero nella schiavitù, il primo ebreo che si è trovato a contatto con le seduzioni, le minacce, gli allettamenti dell'ambiente esterno ed è rimasto fermo ed incrollabile, è il primo ebreo che è rimasto fedele al suo passato e al suo Dio nella prospera come nell'avversa sorte, è l'ebreo che dice chiaro dinanzi al mondo: "Iddio io temo" (Gen. XLII, 18).

Oh, come ci sembra vicino questo personaggio alla schiera di quegli ebrei che in tutti i tempi, in tutte le terre, difesero a testa alta il proprio ideale, la propria tradizione e il proprio Dio anche a costo dei più grandi sacrifici! Noi sentiamo che se Giuseppe anziché salire ai grandi onori cui la Divina volontà lo aveva riservato, avesse dovuto affrontare per la sua fede prove ancor più aspre e più dure, se avesse dovuto fare olocausto della vita, noi sentiamo che Giuseppe avrebbe accettato con fermezza anche questo supremo sacrificio e avrebbe suggellato con dignità la sua nobile esistenza. Al di là del tempo e dello spazio, Giuseppe è fratello in spirito di tutti quei magnanimi figli della gente ebraica che con l'ingegno e con le opere, col sacrificio e con la fede resero grande e nobile il nome di Israele nel mondo. Come loro, anche Giuseppe, è un figlio fedele al suo popolo e al suo Dio che con l'esempio trasmette ai nipoti questa sua fedeltà all'idea. Molto può, dunque, insegnare anche a noi la figura e la storia di Giuseppe, essa ci è ancora vicina e ci addita quale sia la via del nostro dovere.