Rav Riccardo Pacifici – Discorsi sulla Torà


XVIII

MISHPATIM

(Esodo XXI - XXIV)

LA LEGGE SOCIALE DI ISRAELE


Questa Parashà ci presenta, in sintesi, le linee fondamentali della legislazione sociale ebraica. Ho detto le linee fondamentali perché molti principi e molte leggi riguardanti i rapporti tra uomo ed uomo, tra l'ebreo ed il suo fratello o tra l'ebreo ed il nato fuori d'Israele, sono riprese e svolte ampiamente in altre parti della Torà. Non c'è forse capitolo della legge d'Israele, sul quale la Torà maggiormente insista, come quello che ha per oggetto i rapporti ed i legami di convivenza tra gli uomini e non poteva essere altrimenti. La Torà è la legge di vita, è la legge di giustizia e di amore, è legge che predica e promuove l'amore e la giustizia tra gli uomini: nessun altro argomento quanto questo, poteva costituire il perno della Torà. Ne è riprova il fatto che questo corpo di legislazione sociale segue immediatamente la promulgazione dei Dieci Comandamenti, ai quali, anzi il testo biblico si ricollega. Questa Parashà si apre infatti con le parole: "E queste sono le leggi che porrai d'innanzi a loro". Osservano i nostri Maestri: "come le prime (cioè i Dieci Comandamenti) sono state promulgate dal Sinai così queste sono state promulgate dal Sinai", la congiunzione (e) indica il nesso tra le due sezioni bibliche. La legislazione sullo schiavo apre la serie delle norme sociali d'Israele. Come mai? Una parte della vita sociale che nelle civiltà antiche e quelle classiche occupava l'ultimo rango nella scala dei valori qui è innalzata al primo posto. I nostri Maestri ne danno una sapiente e profonda spiegazione appoggiata ad un verso biblico. Parlando della scrittura delle tavole su cui sono scolpiti i Dieci Comandamenti, il sacro testo dice: "E la scrittura era la scrittura di Dio incisa sulle tavole" (Esodo XXXII - 15).

"Charuth 'al ha-luchoth", ma la parola ebraica "charut" (incisa) può leggersi "cherut" che significa "libertà"; libertà dunque osservano i Maestri, era scritto sulle tavole, libertà è il principio dei Dieci Comandamenti, libertà è il postulato per l'adempimento della Torà. Quando, infatti, si tratta di stabilire il principio dello Shabbat, la Torà non solo vi comprende lo schiavo, ma giustifica quella fondamentale istituzione col ricordo della schiavitù egiziana, affinché l'ebreo ritornando col pensiero alla semplicità della sua natura umana, senta più da vicino Dio, così come lo sentirono gli antichi padri durante il servaggio in Egitto e la successiva liberazione. Ma come l'ebreo libero, così anche lo schiavo che, al pari di lui, è sostanzialmente libero, deve celebrare lo Shabbat, perché lo Shabbat è appunto il giorno della libertà dello spirito. Questo spiega perché la nostra Parashà cominci col trattare delle leggi relative allo schiavo. Del resto, se noi scorrendo la Parashà, nella varietà e molteplicità degli argomenti in essa trattati, ne trascegliamo alcuni tra i più salienti, non tarderemo ad accorgerci come gli esseri che, al pari degli schiavi, possono essere ritenuti più indifesi ed i più deboli nella scala sociale, sono quelli a cui la Torà volge le sue cure e dei quali raccomanda massimamente la protezione. Questi esseri sono i poveri, gli orfani, le vedove, sono anche gli stranieri che la Torà vuole siano parimenti protetti ed amati. Quando noi leggiamo certi passi della Torà che si riferiscono a queste categorie di persone, noi avvertiamo un senso di commozione: vi sono in quei passi delle sfumature del sentimento che, appunto perché tali, sembra strano incontrare in un codice di leggi. "Se avrai preso in pegno la coperta del tuo compagno, prima del tramonto gliela restituirai, ché essa forse, è la sola coperta per il suo corpo: con che si coprirà? e se egli esclamasse a Me, Io l'ascolterei, perché clemente Io sono" (Es. XXII, 25-26). Nessuna legislazione antica o moderna è arrivata a far vibrare così le corde della pietà e del sentimento, nessuna legislazione ha eretto la carità o l'amore verso il prossimo a principio di legge o di vita, nessuna raccomanda di non portare odio o rancore al prossimo o al nemico, di rispettarne la proprietà e in certi casi di aiutarlo; nessuna proclama il rispetto e la protezione dell'orfano e dello straniero e di tutti quelli che sono rimasti senza legge e senza protezione. Che se v'ha una legislazione o una dottrina, una religione o una fede che ripetano questi principi e questi divini comandi, che parlino così al cuore degli uomini, esse non possono che ispirarsi alla Torà d'Israele, a quella Torà che come ha dato i Dieci Comandamenti agli uomini, così agli uomini ha tracciato per sempre i solchi dell'amore e della giustizia, di quell'amore e di quella giustizia, che ancora attendono di essere realizzate nella convivenza umana.