RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI SULLA TORÀ


XXXV

NASÒ

(Numeri IV, 21 - VII)

..................................................................................


La distribuzione, l'ordinamento del popolo d'Israele nel deserto di cui si è parlato nella Parashà precedente, è ripresa e continuata in parte in questa odierna che vuole precisare nei più minuti particolari il compito spettante alla famiglia di Levi che, come abbiamo illustrato occupava il centro dell'accampamento ebraico ed era addetta al servizio del Santuario. Quali arredi sacri di esso dovevano essere portati da questa casata dei Levi, quali parti del Santuario erano assegnate ad altre famiglie, in che modo precisamente doveva svolgersi lo smontaggio e la ricostituzione del Santuario sotto l'alta sorveglianza di Aaron, tutto questo è minutamente stabilito nella prima parte della Parashà odierna e si apre così la via, dopo di aver parlato di alcune altre leggi relative alla santità del Santuario e della famiglia, si apre la via per parlare della solenne consacrazione del Santuario e dell'inaugurazione dell'altare, dopo che tutto l'ordinamento del campo è ultimato, sicché il Santuario può davvero essere il centro e il cuore della vita religiosa l'Israele. In questa atmosfera di preparazione e di iniziazione religiosa, mentre ormai nulla manca al completo e regolare svolgimento della vita rituale nel deserto, trova la sua conveniente sistemazione quel passo che è senza dubbio il più saliente della Parashà odierna e che nella sua densa e profonda concisione di eloquio era destinato a diventare uno dei più popolari e conosciuti passi biblici: intendo parlare della benedirione sacerdotale! La Birkath Cohanim, quella Berakhà che, secondo l'originaria volontà di Dio, i Cohanim, cioè i discendenti della famiglia di Aaron, dovranno impartire al popolo, quella Berakhà che ancora oggi è rimasta una delle principali prerogative di coloro che discendono da famiglia sacerdotale, quella Berakhà che si trova per la prima volta annunciata nel nostro passo biblico, quasi ad indicare che solo quando Israele è distribuito regolarmente nelle sue famiglie, nelle sue casate, solo quando la sua vita religiosa si svolge regolare, solo allora esso è fatto degno a che su di lui si posi propizia la benedizione dell'Altissimo. "Parla ad Aaron e ai suoi figli dicendo: "Così benedirete i figli d'Israele, dicendo loro: L'Eterno ti benedica e ti custodisca! L'Eterno faccia risplendere il Suo volto su te e ti sia propizio! L'Eterno volga verso di te il Suo volto e ti dia la pace. E porranno il nome mio sui figli di Israele e Io li benedirò " (Numeri VI, 22-27). I tre versetti che nella loro mirabile concisione hanno un sì alto contenuto spirituale portano ciascuno il nome ineffabile di Dio, quel nome, che pronunziato dai Cohanim, può far scendere su Israele la benefica influenza dello spirito assoluto di Dio, quel nome che è un mistero per noi, ma che racchiude certamente quanto di più alto e di più sublime noi uomini possiamo immaginare sull'essenza di Dio. I tre versetti contengono questo nome, i tre versi sono un crescendo di forza evocatrice che mira a far congiungere il mondo superiore con quello inferiore: tre versi: il primo di tre, il secondo di cinque, il terzo di sette parole. Tre versi, perché l'uno sarebbe rivolto alla prosperità della vita materiale, l'altro a quello della vita intellettuale, il terzo a quello della vita superiore; o secondo un'altra interpretazione, il primo sarebbe rivolto a Israele, il secondo ai Leviti, il terzo ai sacerdoti. Sono questi tre versi che Israele ha ripetuto nei secoli per invocare da Dio la sua propizia benevolenza verso il popolo, sono questi tre versi con i quali chi benedice, non benedice direttamente, ma invoca da Dio il benevolo Suo influsso sulle cose e sulle persone di questa terra: è un raggio della luce di Dio che quasi si cerca di far convergere sulle persone e sul popolo da benedirsi, è un raggio di quella luce che se completo può risplendere ed instaurare la serenità e l'integrità dello spirito, quello shalom che è poi diventato saluto e augurio e che esprime l'interezza della vita spirituale.

Shalom è l'ultima parola della Berakhà quasi ad indicare la aspirazione più alta e più pura, shalom, l'integrità dello spirito, la serenità nella ritrovata e perfetta coscienza di Dio.