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LA VENDITA DEL CHAMEZ

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La Torà ci comanda:

"Per sette giorni mangerete azzime, ma prima che giunga il primo giorno, distruggerete nelle vostre case ogni lievito; poiché chiunque mangi sostanze lievitate dal primo giorno fino al settimo sarà recisa quella persona di mezzo ad Israele." (Esodo 12:15)

"Per sette giorni non si troverà lievito nelle vostre case, poiché chiunque mangi sostanza lievitata sarà recisa quella persona dalla congrega di Israele, si tratti di uno straniero residente nel vostro paese o di un indigeno." (Esodo 12:19)

"Durante i sette giorni si mangerà pane azzimo; e non apparirà presso di te né pane lievitato né lievito in tutto il tuo territorio." (Es. 13:7)

La Halahà deriva da questi comandamenti la proibizione di ricavare durante Pesach qualunque beneficio dal chamez.

Se una persona resta in possesso di chamez durante Pesach, trasgredisce a due comandamenti: "non si troverà lievito nelle vostre case" e "non apparirà presso di te né pane lievitato né lievito".

È un comandamento positivo della Torà la rimozione del chamez prima dell’orario in cui diviene proibito mangiarne: "prima che giunga il primo giorno, toglierete dalle vostre case ogni lievito" e la tradizione ci dice che il primo giorno è il 14 di Nissan, quando la sera avveniva il Sacrificio Pasquale.

Cosa significa "distruggere" il chamez menzionato dalla Torà? Significa annullarlo nel proprio cuore e considerarlo polvere della terra, avere la assoluta convinzione di non possedere più alcun chamez.

Per decreto rabbinico si cerca il chamez in tutta casa, negli angoli più nascosti; si conclude la ricerca la sera del 14 di Nissan a lume di candela; si brucia tutto il chamez residuo la mattina successiva, entro la tarda mattinata.

Che si intende per "vendita del chamez?

Alcune persone possiedono considerevoli quantitativi di chamez, di rilevante valore economico. I nostri Saggi, temendo che tali persone non resistessero alla tentazione di non bruciare tutto il chamez prima di Pesach, istituirono "la vendita del chamez", permisero cioè di venderlo a non-ebrei.

La vendita ad un non ebreo può sembrare una finzione legale, poiché la persona che compra sa bene che al termine di Pesach dovrà rivendere il tutto al venditore. Queste riserve sono però irrilevanti in quanto la compravendita avviene con reale scambio di denaro, sulla base di un contratto di vendita corretto e legalmente vincolante. C’è una regola generale nel diritto ebraico, applicabile qui, che stabilisce che le intenzioni, al contrario delle azioni, non hanno rilevanza legale.

Troviamo un’allusione alla vendita del chamez nella Mishnà: fino all’ora in cui si può mangiare chamez alla vigilia di Pesach, si può dare come alimento agli animali e venderlo a non-ebrei (Pesahim 2:1). Il Talmud riporta la disputa tra le scuole di Hillel e Shammai circa l’orario massimo per la vendita di chamez ad un non-ebreo (Shabbat 18b). Secondo Shammai può essere venduto fino ad un orario che lasci al non-ebreo il tempo di mangiare il tutto prima di Pesach. Secondo Hillel finché è permesso mangiarne è permesso vendere.

Le modalità odierne della vendita del chamez sono basate su antiche fonti: nella Toseftà (Pesahim cap. 2) e nel Talmud Jerushalmi troviamo: "Se un ebreo ed un non ebreo viaggiano per nave e l’ebreo possiede chamez, esso può venderlo o regalarlo al non-ebreo e riaverlo dopo Pesach, purché il regalo sia reale".

Questa fonte mostra chiaramente che lo scopo dell’ebreo nel vendere o nel regalare il chamez è quello di aggirare la proibizione di possedere il chamez di Pesach e la vendita è fatta con l’intesa che l’ebreo riacquisterà lo stesso chamez per farne uso dopo Pesach.

Nondimeno, se la vendita non è fatta seguendo una procedura legale essa non ha valore giuridico ed il risultato sarà di possedere il chamez durante Pesach. I Saggi hanno dunque stabilito che la vendita deve essere diretta, di chamez ben identificato e riunito in uno specifico luogo al quale il non-ebreo possa accedere.

Deve esservi un contratto giuridicamente vincolante e reale passaggio di denaro. In altre parole la vendita deve essere reale e non una "sceneggiata".

Al giorno d’oggi è uso accettato in tutto il mondo ebraico di effettuare una vendita collettiva nella quale l’intera comunità dà al Rabbino o al Tribunale Rabbinico locale la procura a vendere il proprio chamez ad un non-ebreo: solo essi hanno infatti la competenza necessaria per stendere un regolare contratto che soddisfi tutte le complicazioni e sottigliezze della Halahà e della legge civile.

David Pacifici

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